Lo storico e la sua coscienza

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Jean FouquetLa morte di Orlando, 1455-60. Nella leggenda, il paladino di Francia Orlando è trucidato dai Saraceni a Roncisvalle; nella storia, gli invasori franchi sono vittime di un’imboscata di baschi autoctoni e arabi. Già: spesso quando si confronta il mito con la storia, si scopre che le cose sono meno semplici e più articolate di quanto si pensi. Fonte immagine: Wikimedia Commons.

In che misura chi scrive la storia, o comunica i suoi studi al resto del mondo, è consapevole del suo ruolo? Questa domanda indubbiamente la pongo anche a me stesso, in veste di squalificato studente di storia.

Ma la scintilla per cui mi si è accesa nuovamente questa domanda – perché non sono così ingenuo da non essermela mai posta – è stato un post su Facebook di un amico distantissimo da me per opinioni e per convinzioni. Vi spiegherei meglio e in dettaglio – anzi, già avevo scritto qualche riga di spiegazione, ma l’ho cancellata per non stare a stilarvi un noioso verbale della mia polemica.

Dalla celebrazione che questo mio amico compieva della regina Isabella di Spagna (quella di Colombo, per capirci), emergeva anche una visione della Spagna quasi del tutto legata alla sua identità cristiana. E questa è una visione non solo unilaterale, ma anche confutabile.

La Spagna non è stata solo sede di regni cristiani, infatti. C’è tutta una storia, anche avvincente, di regni islamici la cui longevità fu tale che è impossibile non definirli appartenenti alla storia della Spagna. Soprattutto perché, sebbene di fede diversa, quelle comunità erano fatte di spagnoli: alla stessa identica maniera dei sudditi dei regni cristiani.

Potrei parlare poi molto di come la Spagna durante il Medioevo sia stato luogo di scambio culturale fra mondo mediterraneo ed Europa: di come le opere della filosofia classica, della poesia araba o quei commenti filosofici su cui gli intellettuali europei medioevali amavano scervellarsi, provenissero anche dalla Spagna islamica. Opere che spesso attraversavano i Pirenei grazie, tra l’altro, all’opera di mediazione culturale di dotti ebrei, capaci di tradurre dall’arabo al latino.

Affermare che la Storia della Spagna si esaurisca tutta nel moto di riconquista cristiana, è inverosimile. È ciò che in termini tecnici si definisce etnocentrismo.

Certamente, l’unificazione territoriale sotto una stessa monarchia e una stessa fede sono stati eventi cruciali per l’identità spagnola: si creò infatti un punto di non ritorno, una frattura tra la Spagna medievale dei regni cristiani ed islamici e la nuova Spagna imperiale, unitaria e cattolica. Uno storico che quindi negasse tale riunificazione e tutto l’apparato ideologico cattolico che trasformò definitivamente la società spagnola, sarebbe un cattivo storico. Ma è ugualmente antistorico un comportamento di cieca celebrazione e di voluta omissione. Ed è qui che entra in gioco la coscienza dello storico, di chi la storia la assiste e trascrive, spesso rimanendo più confuso di quando ha iniziato a scrivere.

Chi narra la storia dovrebbe infatti essere conscio del suo ruolo di mediatore fra i suoi contemporanei e le comunità umane del passato da cui noi tutti proveniamo; ed essendo la storia dell’umanità colma di stati di conflitto che hanno lasciato tra le ceneri sconfitti spesso sopraffatti non tanto da chi aveva più ragione di loro, ma da chi aveva semplicemente più violenza per sopraffarli, occorre un’estrema cautela per muoversi con la maggiore onestà possibile. Ciò non vuol dire astenersi dal dare un giudizio, ma semplicemente di motivarlo in buona fede, con giustizia.

Amico mio, se mi leggi, non trovo che tu abbia fatto buon servizio alla giustizia. Dal mio punto di vista, riproponi ai nostri contemporanei un panorama storico che serve la tua causa religiosa e anche politica, ma che non omaggia il vero senso dell’essere storico: che è quello di prendersi una difficile, ardua, cruda responsabilità morale. Ovvero di restituire un senso di umanità a tutte le sofferenze che si consumano nella Storia.

La tua celebrazione della Spagna cattolica e della sua regina Isabella non può essere un mero e glorioso inneggiare, ma deve perciò prendersi anche la responsabilità dell’emarginazione e della cacciata di ebrei e islamici che tale sovrana promosse dopo l’unificazione. Atti che non solo mutarono di colpo la vita di migliaia di persone, ma che cancellarono irreversibilmente una porzione intera della storia spagnola medievale.

Glorificare e mitizzare un periodo di supposta ortodossia culturale, non è altro quindi che celebrare una violenza ed una prevaricazione sugli altri, sui diversi: un’ingiustizia che oggi con la nostra sensibilità odierna possiamo giustamente giudicare tale.

Ammettere ciò non è mettere in dubbio la nostra identità occidentale ed europea. Anzi, è tutto il contrario: è un atto di forza della nostra identità plurale, che proprio da questi conflitti spesso risolti tristemente è riuscita a ricavare un’umana lezione di tolleranza e fors’anche di giustizia.

Francesco Landini – Ecco la Primavera: in questo vago tempo ogni cosa ha vaghezza

Cominciano oggi, un po’ in ritardo rispetto alle intenzioni, le mie personali celebrazioni per il mese di Maggio. Un tempo simbolico, intrecciato a petali di rose e all’amore: sia sacro, come quello che il culto cristiano riserva alla Madonna, sia profano, come risveglio di sensazioni pagane e terrene.

Iniziamo oggi con una ballata di Francesco Landini, compositore e musicista del Trecento italiano. Il testo è il migliore che ho potuto trovare in rete (lo dico per i filologi), non avendo ora sotto mano il libretto del cd dove ho la registrazione di questa musica. In ogni caso, la versione che possiedo è quella incisa dallo storico Early Music Consort, la stessa che potrete apprezzare ascoltando il brano con cui si apre il post.

La versione che invece vi propongo per seconda è del Waverly Consort (stando a ciò che è nella descrizione del brano su YouTube), e rispetto alla prima presenta un’accentuata essenzialità vocale, con una riduzione al minimo dell’intervento degli strumenti: la ballata è resa soprattutto dal calore delle voci femminili, scandite vagamente dal soffio di un tintinnio, fino ad arrivare per accumulo al finale, intregrando infine l’irruenza di strumenti e voci maschili. È il Trionfo della Primavera.

“Ecco la primavera

che ‘l cor fa rallegrare;

temp’è da ‘nnamorare

e star con lieta cera.

No’ vegiam l’aria e ‘l tempo

che pur chiama allegreza;

in questo vago tempo

ogni cosa ha vagheza.

L’erbe con gran frescheza

e fiori copron prati

e gli alberi adornati

sono in simil manera.”

Nota: se qualche grammatico ortodosso fra voi sta piangendo per quelle “z” orfane della loro compagna, ricordo che la stabilizzazione delle doppie e della grafia è qualcosa di più tardo del Trecento. 😉

Festa della Liberazione: il 25 Aprile delle Donne

Libdonne

Un fotogramma dal documentario di Liliana Cavani (1965) sulla resistenza al femminile.

Oggi potrei fare tanti discorsi sulla festa della Liberazione, il 25 Aprile. Ma preferisco lasciare la parola alle richieste di giustizia e libertà delle donne di un’altra epoca. C’è vera democrazia solo e solo quando l’indispensabile voce delle donne si sente forte e chiara. Ogni volta che vedo una donna lottare, ogni volta che sento non tanto commenti sessisti, ma veri e propri pregiudizi sulle capacità e sulle qualità delle donne, so che – con tutti i miei difetti – è mio dovere fare il possibile, perché la strada è ancora da completare. Questo vale anche a “sinistra” e fra le persone cosiddette “illuminate”, che nei loro rapporti privati smentiscono coi fatti la bellezza delle loro affermazioni.

Senza la Liberazione, il diritto al voto per tutte non ci sarebbe stato. Sono passati quasi 70 anni, ma facciamo che queste parole e questo spirito non siano mai dimenticati.

“Donne Italiane,

Dopo venti anni di fascismo, dopo venti anni di lotte, di patimenti, di umiliazioni e di forzato silenzio, oggi finalmente, l’Italia liberata da questo infame regime, liberamente vi parla.

Parla a voi che come gli uomini avete sofferto e lottato, a voi che mai siete state considerate, a voi che siete state sempre e solo oggetto di umiliazione e di sfruttamento.

Oggi non è più così, il nuovo ordinamento politico ha uguagliato i vostri diritti a quelli dell’uomo, oggi siete al pari di chiunque, considerate, valutate ed ascoltate.” (da un manifesto del 7 Giugno 1945 dell’Unione Donne Italiane di Voghera)

“Cittadini, Cittadine!

Un fatto nuovo si verificherà nelle prossime elezioni amministrative:

Le donne andranno pure esse alle urne; le donne potranno apertamente manifestare quali siano i loro orientamenti politici, quale la loro volontà.

Alle amministrazioni comunali che saranno prossimamente elette, le donne chiedono:

1 – La municipalizzazione dei servizi indispensabili alla collettività; appoggio alla cooperazione.

2 – Equa e sorvegliata distribuzione delle derrate alimentari e dei generi di prima necessità; lotta tenace contro il mercato nero.

3 – Precedenza assoluta alla ricostruzione delle abitazioni civili; lotta contro la disoccupazione e il banditismo.

4 – Energica azione nel campo dell’igiene e della sanità pubblica che se trascurato può portare delle conseguenze disastrose; aumento del numero dei medici e delle ostetriche, di condotta.

5 – Carattere di solidarietà umana nell’assistenza.

6 – Scuole, asili, collegi per i bimbi.

7 – Lo stato fallimentare delle finanze comunali sia risanato da una politica tributaria che non gravi sulle masse popolari.

A tutte queste richieste le donne aggiungono quella che è la più importante per la ricostruzione dell’Italia:

Lotta a fondo contro la reazione e contro il fascismo nelle sue più svariate forme.

L’Unione Donne Italiane di Parma”

(testo integrale di un manifesto del 1946)

Torquemada e l’Inquisizione spagnola secondo Mel Brooks e i Monty Python

Visto che ieri abbiamo toccato il tema dell’Inquisizione spagnola in un post abbastanza impegnato, oggi per allietarci facciamo un po’ di satira e provocazione all’insegna del politicamente scorretto.

Prima di tutto l’insormontabile Mel Brooks (ebreo, per chi non lo sapesse), che nel giro di pochi minuti ridicolizza l’antisemitismo e l’intolleranza. E poi…

NESSUNO SI ASPETTA L’INQUISIZIONE SPAGNOLA!

… uno dei vari sketch creati dai Monty Python sull’Inquisizione. Gli altri li troverete facilmente sul Tubo. Tra l’altro mi domando in quale era ItaliaUno trasmetteva i Python…

Tra medioevo, musica ed intolleranza: i Sefarditi di Spagna

Iniziamo la settimana con un viaggio ai margini della storia, della poesia in musica e dell’intolleranza religiosa.

Dal tramonto di oggi cade la Pasqua ebraica, Pesach, la festività che segna la liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù dei Faraoni egiziani. È proprio per festeggiare Pesach che Gesù Cristo, pochi giorni prima della sua crocifissione, si reca in Gerusalemme ed è accolto dalle Palme dei suoi fedeli – questo per chi crede nel cristianesimo. Sotto più aspetti, oggi mi pare quindi una buona occasione per condividere con voi questo brano appartenente alla tradizione musicale dell’ebraismo sefardita. Il testo dovrebbe essere del filosofo, teologo e poeta Yehuda ha-Levi.

La lingua in cui è scritto e cantato è il ladino, forse detto più precisamente giudeo-spagnolo – in modo da non creare confusioni con il ladino del Nord Italia, che non c’entra assolutamente niente con l’ebraismo. Mentre a molti è forse noto l’yiddish, che può essere per certi versi definito come una “versione” ebraica del tedesco, il ladino è invece un vero calderone di trame linguistiche romanze (ovvero derivate dal latino, come spagnolo, catalano, portoghese..) mischiate al lessico religioso ebreo-aramaico, il tutto poi miscelato per ragioni storiche persino con il turco e l’arabo.

Assieme agli Aschenaziti e al loro yiddish, i Sefarditi infatti sono una delle due grandi tradizioni classiche dell’ebraismo. Mentre con il nome dei primi si indicano storicamente gli appartenenti alle comunità ebraiche del Nord Europa e dell’Europa Centrale ed Orientale, “Sefarditi” indica invece gli ebrei delle comunità che esistettero nella penisola iberica per tutto il medioevo.

Dico “esistettero” perché, tramite un atto che può essere storicamente comprensibile ma modernamente ingiustificabile, nel 1492 – lo stesso anno della scoperta dell’America – gli ebrei delle comunità spagnole furono espulsi dai Re Cattolici Ferdinando ed Isabella – gli stessi che appunto finanziarono Cristoforo Colombo, esatto.

Nel 1492 veniva infatti completata anche la cosiddetta Reconquista, ovvero la riunificazione della Spagna da parte dei regni cristiani contro quelli islamici. Naturalmente, si poneva perciò il problema di come integrare le comunità di religione differente dal cristianesimo, ovvero islamici e nel nostro caso gli ebrei. Alla faccia della nostra moderna tolleranza, fu scelta la soluzione drastica. Venne quindi dato agli ebrei un comodissimo tempo di tre o quattro mesi per sloggiare baracca e burattini e andarsene dove loro paresse adatto – naturalmente purché fuori dalla Spagna.

Già è complicato in tre mesi abbandonare la propria casa, il proprio lavoro e trasferirsi in un’altra nazione oggi, figuratevi nel XV secolo. Chi fra gli ebrei dopo questi pochi mesi fosse poi rimasto nelle felici terre dei Re Cattolici, o si convertiva al cristianesimo o si convertiva alla morte.

A completare il quadro, nel 1496 anche i regnanti in Portogallo, legati alle corone di Spagna, adottarono misure analoghe. Iniziò così la dispersione in lungo e largo di queste famiglie spagnole e portoghesi, che trovarono rifugio o presso altre comunità europee – per esempio in Olanda, il filosofo Baruch Spinoza era discendente di questi esiliati – o anche sotto l’Impero dei Turchi Ottomani – in zone come la Grecia o la Turchia (da qui le tracce di lingua turca nel ladino).

Con l’espulsione del 1492, anche se molti non-ebrei poterono impossessarsi dei beni svenduti in fretta e furia dei sefarditi in fuga (a volte persino trucidandoli), i regni di Castiglia ed Aragona perdettero un ceto che non solo generava ricchezza tramite i commerci e la produzione artigianale, ma anche fondante per la stessa cultura spagnola ed europea: molte traduzioni di testi arabi essenziali per lo sviluppo del pensiero occidentale, li dobbiamo infatti alla mediazione e alla traduzione degli ebrei sefarditi.

In una parola, tutta la penisola iberica venne impoverita sotto più aspetti. Inoltre, sempre intorno al periodo di questa espulsione, in Spagna ebbe inizio un periodo di autentica paranoia incentrato sulla nozione di limpieza de sangre – la “purezza di sangue” – destinato a durare per circa i due secoli successivi, e in alcune sue forme fino al XIX secolo.

Gli editti dei re iberici avevano di fatto costretto islamici ed ebrei spagnoli alla conversione forzata al cristianesimo, cosicchè molti di questi aderirono solo nominalmente alla fede cristiana, per conservare la loro vita, i loro beni e le loro posizioni sociali. Quest’ultima cosa, vedere dei cosiddetti “falsi” cristiani mantenere la loro eventuale ricchezza, fece però venire la bava alla bocca a chi ne era per vari motivi geloso. Supportati dagli strumenti dell’Inquisizione cattolica, si cominciarono a scartabellare gli alberi genealogici, dando così avvio ad una campagna di restrizioni pubbliche per chi non fosse di pura ascendenza cristiana.

Mentre da una parte si dava “inizio” all’era moderna con la scoperta dell’America, nel 1492 si consumò così anche una triste lezione di intolleranza, per certi aspetti altrettanto moderna. Una pagina nera come solo la storia dell’Umanità è capace di offrirne, in cui il potere politico si giustifica attraverso la religione ed impone con la forza un determinato ordine sociale.

Ma questa lezione non serve solo a metterci in guardia dagli intrecci fra gerarchie religiose e politica, ma anche da tutti coloro che vogliono far credere che nelle nazioni esista una sola comunità monolitica – il popolo, unito, compatto ed indifferenziato come l’immondizia di Malagrotta.

In realtà esistono sempre più comunità e più identità che coabitano fra loro, e chi crede ancora alle gentili fiabe di popoli e popolani se ne faccia una ragione.

Francesco ♠

Nota: cinematograficamente parlando, il tema della limpieza de sangre appare per esempio nei film Alatriste e L’ultimo inquisitore (Goya’s Ghosts).

Le fiamme della guerra: Rouen in Normandia

Rouen-1Per ricordare che cosa ha voluto dire in Europa la guerra: l’interno della cattedrale di Rouen. La capitale normanna dove venne arsa al rogo Giovanna d’Arco, fu a sua volta bruciata da vari bombardamenti alleati durante la Seconda Guerra Mondiale. Parti della città vennero distrutte nel 1944 anche dai combattimenti per sgombrare i tedeschi dalla Normandia.

Ricordatevi questa cattedrale, dove ora la luce penetra fra le colonne annerite del coro. Ne riparleremo a breve.