In che misura chi scrive la storia, o comunica i suoi studi al resto del mondo, è consapevole del suo ruolo? Questa domanda indubbiamente la pongo anche a me stesso, in veste di squalificato studente di storia.
Ma la scintilla per cui mi si è accesa nuovamente questa domanda – perché non sono così ingenuo da non essermela mai posta – è stato un post su Facebook di un amico distantissimo da me per opinioni e per convinzioni. Vi spiegherei meglio e in dettaglio – anzi, già avevo scritto qualche riga di spiegazione, ma l’ho cancellata per non stare a stilarvi un noioso verbale della mia polemica.
Dalla celebrazione che questo mio amico compieva della regina Isabella di Spagna (quella di Colombo, per capirci), emergeva anche una visione della Spagna quasi del tutto legata alla sua identità cristiana. E questa è una visione non solo unilaterale, ma anche confutabile.
La Spagna non è stata solo sede di regni cristiani, infatti. C’è tutta una storia, anche avvincente, di regni islamici la cui longevità fu tale che è impossibile non definirli appartenenti alla storia della Spagna. Soprattutto perché, sebbene di fede diversa, quelle comunità erano fatte di spagnoli: alla stessa identica maniera dei sudditi dei regni cristiani.
Potrei parlare poi molto di come la Spagna durante il Medioevo sia stato luogo di scambio culturale fra mondo mediterraneo ed Europa: di come le opere della filosofia classica, della poesia araba o quei commenti filosofici su cui gli intellettuali europei medioevali amavano scervellarsi, provenissero anche dalla Spagna islamica. Opere che spesso attraversavano i Pirenei grazie, tra l’altro, all’opera di mediazione culturale di dotti ebrei, capaci di tradurre dall’arabo al latino.
Affermare che la Storia della Spagna si esaurisca tutta nel moto di riconquista cristiana, è inverosimile. È ciò che in termini tecnici si definisce etnocentrismo.
Certamente, l’unificazione territoriale sotto una stessa monarchia e una stessa fede sono stati eventi cruciali per l’identità spagnola: si creò infatti un punto di non ritorno, una frattura tra la Spagna medievale dei regni cristiani ed islamici e la nuova Spagna imperiale, unitaria e cattolica. Uno storico che quindi negasse tale riunificazione e tutto l’apparato ideologico cattolico che trasformò definitivamente la società spagnola, sarebbe un cattivo storico. Ma è ugualmente antistorico un comportamento di cieca celebrazione e di voluta omissione. Ed è qui che entra in gioco la coscienza dello storico, di chi la storia la assiste e trascrive, spesso rimanendo più confuso di quando ha iniziato a scrivere.
Chi narra la storia dovrebbe infatti essere conscio del suo ruolo di mediatore fra i suoi contemporanei e le comunità umane del passato da cui noi tutti proveniamo; ed essendo la storia dell’umanità colma di stati di conflitto che hanno lasciato tra le ceneri sconfitti spesso sopraffatti non tanto da chi aveva più ragione di loro, ma da chi aveva semplicemente più violenza per sopraffarli, occorre un’estrema cautela per muoversi con la maggiore onestà possibile. Ciò non vuol dire astenersi dal dare un giudizio, ma semplicemente di motivarlo in buona fede, con giustizia.
Amico mio, se mi leggi, non trovo che tu abbia fatto buon servizio alla giustizia. Dal mio punto di vista, riproponi ai nostri contemporanei un panorama storico che serve la tua causa religiosa e anche politica, ma che non omaggia il vero senso dell’essere storico: che è quello di prendersi una difficile, ardua, cruda responsabilità morale. Ovvero di restituire un senso di umanità a tutte le sofferenze che si consumano nella Storia.
La tua celebrazione della Spagna cattolica e della sua regina Isabella non può essere un mero e glorioso inneggiare, ma deve perciò prendersi anche la responsabilità dell’emarginazione e della cacciata di ebrei e islamici che tale sovrana promosse dopo l’unificazione. Atti che non solo mutarono di colpo la vita di migliaia di persone, ma che cancellarono irreversibilmente una porzione intera della storia spagnola medievale.
Glorificare e mitizzare un periodo di supposta ortodossia culturale, non è altro quindi che celebrare una violenza ed una prevaricazione sugli altri, sui diversi: un’ingiustizia che oggi con la nostra sensibilità odierna possiamo giustamente giudicare tale.
Ammettere ciò non è mettere in dubbio la nostra identità occidentale ed europea. Anzi, è tutto il contrario: è un atto di forza della nostra identità plurale, che proprio da questi conflitti spesso risolti tristemente è riuscita a ricavare un’umana lezione di tolleranza e fors’anche di giustizia.